Patologia
Il tumore del fegato può essere primitivo, quando nasce direttamente dalle cellule epatiche, o secondario, quando si tratta di metastasi provenienti da tumori sviluppati in altri organi. Il fegato infatti, grazie alla sua funzione di filtro del sangue proveniente da tutto l’organismo, è uno degli organi più frequentemente colpiti da metastasi, insieme ai polmoni.
Il tumore del fegato rimane una delle forme oncologiche più complesse da trattare, anche a causa del fatto che, nella maggior parte dei casi, viene diagnosticato in fase avanzata. Tuttavia, la diagnosi tempestiva e le terapie mirate disponibili oggi possono offrire migliori possibilità di cura e di controllo della malattia.
A livello mondiale, il tumore primitivo del fegato rappresenta la quinta neoplasia più frequente, con un’incidenza molto variabile tra le diverse aree geografiche: è particolarmente diffuso in Asia, mentre in Europa e negli Stati Uniti si osserva una frequenza inferiore.
Tipologie di tumore del fegato
Tumori primitivi
Si originano direttamente dal tessuto epatico. I principali sono:
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- Epatocarcinoma (HCC – carcinoma epatocellulare): rappresenta circa il 75-85% dei tumori primitivi del fegato. Origina dagli epatociti, le cellule principali del fegato, e spesso si sviluppa su un organo già compromesso da cirrosi o epatite cronica;
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- Colangiocarcinoma intraepatico: nasce dalle cellule che rivestono i dotti biliari all’interno del fegato. È meno frequente dell’HCC ma in aumento negli ultimi anni;
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- Tumori rari: comprendono l’epatoblastoma (più comune nei bambini), l’angiosarcoma epatico e altri sarcomi, molto rari nell’adulto.
Tumori secondari
Le metastasi epatiche sono molto più frequenti dei tumori primitivi e derivano dalla diffusione di cellule tumorali provenienti da altri organi, come colon-retto, pancreas, stomaco, polmone, seno o melanoma.
I numeri in Italia
In Italia, secondo i dati del Registro AIRTUM, nel 2023 sono state registrate circa 12.200 nuove diagnosi di tumore del fegato primitivo (rapporto uomini-donne 2 a 1), pari a circa il 3% di tutti i tumori diagnosticati ogni anno.
Sintomi
Il tumore primitivo del fegato può dare sintomi tardivi e poco specifici.
I segnali più comuni comprendono:
- dolore o fastidio nella parte superiore dell’addome;
- difficoltà digestive e senso di pienezza;
- nausea;
- perdita di peso non intenzionale;
- colorazione giallastra di pelle e occhi (ittero).
Nel caso del tumore della colecisti, la diagnosi è spesso complessa perché l’organo è nascosto dietro altri organi addominali (stomaco, intestino tenue, fegato, milza). I sintomi possono somigliare a quelli di disturbi più comuni, come i calcoli o le infezioni della colecisti, e nelle fasi iniziali la malattia può essere completamente silente.
Fattori di rischio
- Oltre il 70% dei casi di tumori primitivi del fegato è riconducibile a infezione da virus dell’epatite C (HCV) e da virus dell’epatite B (HBV);
- assunzione di aflatossine con l’alimentazione (in particolare in Asia orientale e Africa sub-Sahariana), emocromatosi, deficit di alfa-1-antitripsina, obesità (specie se complicata da presenza di diabete) e steatoepatite non alcolica;
- fumo di tabacco.
Diagnosi ed esami
Il percorso diagnostico inizia solitamente con esami del sangue e ecografia dell’addome. Se necessario, si procede con esami più approfonditi come tomografia computerizzata (TC) con mezzo di contrasto e/o risonanza magnetica (colangio-RM). I risultati vengono valutati da un medico specialista, che imposta l’iter diagnostico-terapeutico più adatto.
Quando la presenza del tumore è confermata, si eseguono ulteriori accertamenti per verificare se la malattia si è diffusa ad altre parti del corpo. Questa fase, chiamata stadiazione, è fondamentale per scegliere il trattamento più appropriato. La stadiazione prevede in genere una TC con mezzo di contrasto di torace e addome, ed eventualmente altri esami mirati. Il termine stadio indica la grandezza del tumore e l’eventuale interessamento di altri organi: informazioni preziose per personalizzare la terapia e garantire le migliori possibilità di cura.
Ecografia
L’Ecografia è il primo esame strumentale che viene in genere eseguito in caso di sintomi suggestivi di possibile lesione epatica, è in grado a volte di confermare la presenza di lesioni benigne quali cisti/lesioni angiomatose ma in caso di lesioni solide deve essere eseguito approfondimento mediante esami più approfonditi quali la TC.
È in grado di dare anche importanti iniziali informazioni sulla presenza, entità e distribuzione (monolaterale/bilaterale) della dilatazione delle vie biliari e può essere in grado di iniziare a porre il sospetto di un eventuale tumore della colecisti.
TAC torace e addome
La Tomografia Computerizzata (TC) torace addome con mezzo di contrasto quadrifasica (arteriosa-portale-venosa-venosa tardiva): è in grado di dimostrare la presenza di lesioni epatiche e spesso di caratterizzarle sulla base della modalità e di presa di contrasto in relazione alle quattro fasi precedentemente citate.
Inoltre è in grado di valutare la sede all’interno del fegato nei vari segmenti (otto segmenti epatici), l’interessamento di rami vascolari o portali, la presenza di trombosi portale e la dilatazione delle vie biliari, la sede del relativo ostacolo al deflusso della bile, il volume di fegato residuo in corso di pianificazione di intervento chirurgico, anomalie vascolari, la presenza di metastasi a distanza o di linfoadenopatie sospette: sono tutte informazioni importanti dal punto di vista della diagnosi, della diffusione della malattia (stadiazione) e della progettazione di un eventuale intervento chirurgico.
Risonanza magnetica
Risonanza magnetica (RM) epatica con mezzo di contrasto epatospecifico: può aiutare in alcuni casi a:
- ottimizzare la caratterizzazione di lesioni epatiche dopo una TC,
- rilevare lesioni non visibili alla TC mediante la visualizzazione delle immagini in una particolare sequenza (in “diffusione”).
La Colangiorisonanza (Colangio RM) è un tipo particolare di risonanza magnetica che permette di visualizzare esclusivamente le vie biliari intra- ed extraepatiche e quindi:
- meglio caratterizzare stenosi e livello di ostruzioni biliari,
- valutare anomalie congenite dei dotti biliari.
Si utilizza quasi sempre in caso di tumore di Klatskin (tumore della via biliare extraepatica a livello della convergenza o in alcuni casi di tumore della colecisti “hylum type” che mimano i tumori prima descritti).
Marcatori tumorali
Tramite un esame del sangue è inoltre possibile misurare la quantità di due particolari proteine che possono essere prodotte dalle cellule del tumore del fegato (per questo sono definite marker tumorali):
l’Alfafetoproteina (AFP) che può avere elevate concentrazioni sieriche nell’epatocarcinoma e l’Antigene Carcinoembrionario 19.9 (Ca19.9) che può aumentare nei tumori delle vie biliari e della colecisti.
La loro concentrazione è collegata all’estensione del tumore e di solito aumenta con il suo progredire, quindi questi marcatori, quando presenti, aiutano a valutare la gravità della malattia, a seguirne l’andamento della malattia e a valutare l’efficacia delle cure.
Analisi istologica e citologica
La diagnosi del tumore si può ottenere con l’esame istologico eseguito dall’anatomo-patologo sulla agobiopsia effettuata per via transparietale per via ecoguidata o TC-guidata. A volte per i tumori delle vie biliari extraepatiche può essere ottenuta mediante brushing (spazzolamento) durante esame endoscopico di ERCP (Endoscopic Retrograde Colangio Pancreatography). Quest’ultima è una procedura in cui viene incannulata la papilla di Vater, contrastata la via biliare/dotto pancreatico di Wirsung ed eventualmente eseguito un esame citologico sulla lesione. Tramite ERCP è possibile posizionare una endoprotesi biliare in caso di stenosi biliare neoplastica non passibile di intervento chirurgico o in previsione di un intervento chirurgico.
Per quanto riguarda l’epatocarcinoma spesso la diagnosi è fornita dalla presenza di un esame radiologico caratteristico associato alla presenza di valori elevati di marcatore neoplastico (AFP) o di due esami radiologici concordanti, quindi la biopsia non è da ritenersi obbligatoria.
Infine si segnala che per i tumori della convergenza biliare (Klatskin) la diagnosi istologica è spesso difficoltosa e può richiedere biopsie ripetute con una elevata percentuale di prelievi non dirimenti.
Tipo Istologico o Istotipo
Nella diagnosi di tumore il patologo descrive l’architettura nell’insieme (tipo istologico). La definizione del tipo istologico ha un suo significato biologico ed è un’informazione utile ai fini di programmare il trattamento.
L’epatocarcinoma (o carcinoma epatocellulare) è il tumore primitivo più frequente del fegato e deriva dalle cellule che compongono l’organo stesso, gli epatociti.
Il colangiocarcinoma origina dalle cellule dei dotti biliari (colangiociti), siano essi all’interno (intraepatici) o all’esterno (extraepatici) del fegato. Analogamente al tumore della colecisti, è nella maggior parte dei casi di tipo adenocarcinomatoso.
Grado Istologico
Il “grado istologico” o grading è un termine utilizzato convenzionalmente per descrivere l’aspetto delle cellule tumorali al microscopio ed indica il grado di differenziazione cellulare e la rapidità con cui possono crescere.
I tumori del fegato/colecisti/vie biliari si classificano secondo tre gradi:
- grado 1: grado basso;
- grado 2: grado intermedio o moderato;
- grado 3: grado alto.
Nei tumori di grado 1 le cellule tumorali sono molto simili alle cellule normali quindi “differenziate”, mentre i tumori di grado 3 sono caratterizzati da cellule poco “differenziate” discostandosi dalla cellula normale da cui hanno origine.
I linfonodi
I linfonodi sono ghiandole presenti in addome e ricevono la linfa che proviene dal tumore. Se le cellule del tumore entrano nei vasi linfatici danno metastasi nei linfonodi.
Terapie
Dopo la conferma della diagnosi, gli specialisti del team multidisciplinare valutano una serie di fattori per pianificare un percorso di cura personalizzato per il paziente. Oltre al tipo di tumore, le sue dimensioni e la sua eventuale diffusione ad altre parti del corpo, vengono considerati anche l’età del paziente, il suo stato generale di salute e la sua storia medica. Il piano terapeutico viene quindi discusso insieme al paziente, proponendogli scelte alternative in caso di efficacia equivalente.
A seconda della natura del tumore, del suo stadio, della funzionalità epatica e delle condizioni generali/comorbidità/età del paziente sono indicate diverse strategie di cura.
Chirurgia
La chirurgia è un trattamento proposto per le seguenti forme di neoplasia, a condizione che le cellule tumorali non abbiano invaso i tessuti adiacenti o a distanza rendendo quindi il tumore inoperabile.
Epatocarcinoma (HCC)
Per l’epatocarcinoma, l’approccio chirurgico può prevedere due possibilità:
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- Resezione epatica
Consiste nella rimozione della parte di fegato dove si trova il tumore, con un margine di sicurezza intorno alla lesione.
Questa opzione è indicata quando:- le lesioni sono poche (meno di tre) e di piccole dimensioni (meno di 3 cm ciascuna) oppure c’è una sola lesione non superiore a 5 cm;la funzionalità del fegato è quasi normale.
L’epatocarcinoma si sviluppa, nell’80% dei casi, in un fegato già compromesso da cirrosi causata da infezioni virali, consumo di alcol, emocromatosi (accumulo eccessivo di ferro dovuto a una malattia genetica) o altre patologie.
È importante che, dopo l’intervento, resti una quantità sufficiente di fegato funzionante per garantire la rigenerazione dell’organo
- Resezione epatica
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- Trapianto di fegato (trapianto epatico ortotopico)
In questo caso, il fegato malato viene sostituito con quello di un donatore deceduto. Il trapianto viene considerato quando, oltre alla presenza del tumore, c’è una cirrosi epatica con grave compromissione della funzione del fegato, e in genere per pazienti sotto i 70 anni. I criteri di selezione sono simili a quelli per la resezione.
- Trapianto di fegato (trapianto epatico ortotopico)
Colangiocarcinoma intraepatico (CCC)
Quando possibile, il trattamento chirurgico prevede la resezione epatica, cioè la rimozione della parte di fegato in cui si trova la lesione, lasciando comunque un volume di organo sufficiente a garantire una buona funzione.
L’intervento viene eseguito con margine libero da malattia e associato alla rimozione dei linfonodi del peduncolo epatico — una struttura che racchiude la vena porta, l’arteria epatica con le sue principali ramificazioni e la via biliare principale — poiché questo tipo di tumore tende a diffondersi facilmente attraverso le vie linfatiche vicine.
Colangiocarcinoma perilare (tumore di Klatskin)
Questo tipo di tumore, che interessa la parte centrale della via biliare, richiede di solito un intervento chirurgico complesso.
Il trattamento prevede la rimozione della via biliare principale insieme a una resezione epatica estesa. Nella maggior parte dei casi si esegue un’epatectomia destra (asportazione dei segmenti 5, 6, 7 e 8) estesa anche al segmento 4 e al segmento 1, poiché sono drenati dal tratto di via biliare interessato.
A seguire, si procede con una delicata ricostruzione della via biliare — molto sottile in quel punto — collegandola direttamente all’intestino tenue.
Carcinoma della colecisti
Questo tipo di tumore può essere diagnosticato in momenti diversi:
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- Prima dell’intervento (diagnosi preoperatoria)
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- Durante un’operazione di colecistectomia (diagnosi intraoperatoria)
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- Dopo l’intervento, come riscontro occasionale all’esame istologico della colecisti rimossa per altre ragioni (diagnosi postoperatoria)
Il tipo di intervento chirurgico dipende molto dal momento della diagnosi e dallo stadio della malattia:
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- Tumori molto iniziali (T1a): la sola colecistectomia è sufficiente e, in caso di diagnosi postoperatoria, non è necessario reintervenire.
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- Tumori in stadio T1b: oltre alla colecistectomia, è necessario rimuovere anche i linfonodi del peduncolo epatico (linfadenectomia).
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- Tumori in stadio T2 o T3: si esegue la linfadenectomia associata alla resezione epatica (segmenti 4b e 5, oppure il letto epatico della colecisti).
Questa strategia è indicata nei tumori che crescono verso la porzione della colecisti a contatto con il fegato (liver bed type).
Per i tumori che si sviluppano verso l’ilo epatico e la via biliare, il trattamento è simile a quello del colangiocarcinoma perilare, con resezioni epatiche più estese e rimozione della via biliare.
In alcuni casi, quando è necessario eseguire un’ampia resezione ma il volume di fegato residuo risulta insufficiente, si possono adottare tecniche per stimolare la crescita della parte che verrà preservata, nell’arco di 30-40 giorni:
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- Embolizzazione portale preoperatoria (PVE): tramite radiologia interventistica, si occlude il ramo della vena porta che porta sangue alla parte di fegato da rimuovere, così da aumentare il flusso e il volume della parte sana.
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- Legatura portale: intervento chirurgico che lega il ramo portale destinato alla parte da asportare, con lo stesso obiettivo della PVE.
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- Oltre alle tecniche già descritte (embolizzazione o legatura portale), esistono metodiche più recenti:
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- ALPPS (Associating Liver Partition and Portal vein ligation for Staged hepatectomy) e mini-ALPPS: consistono nella sezione totale o parziale del fegato, senza rimuovere subito la parte malata e senza ulteriori legature (a parte quelle eventualmente già previste). Questo approccio riduce la formazione di circoli collaterali che potrebbero riportare sangue alla porzione di fegato esclusa, favorendo così una crescita più rapida e consistente della parte sana.
Preparazione in caso di tumori con valori elevati di bilirubina
Nei pazienti con colangiocarcinoma perilare o tumore della colecisti “hylum type” e valori elevati di bilirubina, prima di procedere con un’epatectomia estesa (e con un’eventuale embolizzazione portale) è fondamentale eseguire un drenaggio biliare del fegato che dovrà essere preservato.
Il drenaggio viene effettuato inserendo un sottile tubicino attraverso la parete addominale e il fegato, superando il restringimento del dotto biliare. Questo passaggio aiuta a ridurre la bilirubina, migliora la funzione epatica e ottimizza la crescita del fegato residuo. Per questo motivo, il drenaggio deve essere eseguito prima di eventuali procedure di embolizzazione portale.
Terapie locoregionali
Le terapie locoregionali sono trattamenti mirati che agiscono direttamente sul tumore o sull’area del fegato interessata, senza coinvolgere in modo significativo il resto dell’organismo.
Sono utilizzate soprattutto nella gestione dell’epatocarcinoma, ma possono essere proposte anche in altri casi, in base alla valutazione del Gruppo Interdisciplinare di Cure (GIC).
Questi trattamenti comprendono procedure come la termoablazione, la chemioembolizzazione o la radioembolizzazione, e hanno l’obiettivo di ridurre la massa tumorale, controllare la malattia e, in alcuni casi, renderla operabile, il tutto con un approccio il più possibile mini-invasivo.
- Termoablazione: è una procedura mini-invasiva che utilizza il calore per distruggere il tumore. Si inserisce un sottile ago, guidato dall’ecografia, direttamente nella lesione (attraverso la parete addominale o durante un intervento chirurgico). L’ago emette microonde per un tempo e con un’intensità calibrati in base alla dimensione del tumore, generando calore che distrugge le cellule malate. Il trattamento copre non solo l’intera lesione, ma anche un piccolo margine di tessuto circostante, per ridurre il rischio di recidiva. È particolarmente indicato per tumori di diametro inferiore a 3 cm e, in pazienti con altre patologie, può essere preferito alla chirurgia per lesioni profonde e di piccole dimensioni;
- Chemioembolizzazione transarteriosa: la procedura prevede l’inserimento di un sottile catetere nell’arteria femorale, che viene fatto risalire fino alle arterie che alimentano il tumore del fegato. Qui si rilascia un materiale embolizzante che svolge una doppia azione:
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blocca il flusso di sangue verso il tumore, riducendone l’apporto di ossigeno e nutrienti;
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somministra localmente farmaci chemioterapici, così da agire in modo mirato sulle cellule tumorali.
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- Chemioembolizzazione transarteriosa: la procedura prevede l’inserimento di un sottile catetere nell’arteria femorale, che viene fatto risalire fino alle arterie che alimentano il tumore del fegato. Qui si rilascia un materiale embolizzante che svolge una doppia azione:
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Radioembolizzazione transarteriosa: questa procedura è simile alla chemioembolizzazione, ma invece dei farmaci chemioterapici viene utilizzata una sostanza contenente microsfere radioattive.
Il materiale viene rilasciato in modo mirato all’interno delle arterie che nutrono il tumore, così da colpirlo direttamente con radiazioni localizzate e preservare il più possibile i tessuti sani circostanti. La radioembolizzazione può essere indicata anche per lesioni di grandi dimensioni (oltre 6 cm) e può avere sia uno scopo esclusivamente terapeutico sia, in alcuni casi, un ruolo preparatorio per un intervento chirurgico, qualora la risposta al trattamento sia favorevole.
Chemioterapia
La chemioterapia utilizza farmaci citotossici con lo scopo di inibire la crescita e la moltiplicazione delle cellule tumorali, fino a provocarne la morte. Le cellule tumorali si moltiplicano in modo incontrollato e rapido: questa caratteristica le rende bersaglio della chemioterapia, ma può coinvolgere anche cellule sane che si rinnovano velocemente, causando effetti collaterali.
Nel tumore del fegato, la chemioterapia è indicata soprattutto nei tumori della colecisti e delle vie biliari. Gli epatocarcinomi raramente ne beneficiano.
Quando può essere usata
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Prima della chirurgia (neoadiuvante) →riduce la massa tumorale per facilitarne l’asportazione;
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dopo la chirurgia (adiuvante) → riduce il rischio di recidiva, in base allo stadio e ai fattori di rischio;
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in malattia avanzata/metastatica → riduce i sintomi, rallenta la progressione e può prolungare la sopravvivenza.
Farmaci più utilizzati
Somministrati singolarmente, in combinazione o in sequenza, includono:
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5-fluorouracile (5FU) + acido folinico (per via endovenosa)
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Gemcitabina (per via endovenosa)
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Irinotecan (per via endovenosa)
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Cisplatino (per via endovenosa)
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Oxaliplatino (per via endovenosa)
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Capecitabina (per via endovenosa)
La scelta dipende dalla sede del tumore, dallo stato di salute generale e dai trattamenti già ricevuti.
Modalità di somministrazione
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Via orale → compresse o capsule, una o più volte al giorno;
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Via endovenosa (EV) → tramite ago-cannula o più frequentemente cateteri venosi centrali, che permettono infusioni sicure di farmaci potenzialmente irritanti:
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PICC (catetere a inserimento periferico, per terapie di medio-lungo termine)
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Catetere tunnellizzato (per terapie a medio-lungo termine)
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PORT-a-CATH (dispositivo totalmente impiantabile sotto la pelle, per terapie a lungo termine)
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Le infusioni si svolgono in ambulatorio e possono durare da pochi minuti a diverse ore.
La chemioterapia è somministrata “a cicli”: ogni ciclo dura alcuni giorni e viene seguito da un periodo di riposo per permettere all’organismo di recuperare. Il numero di cicli dipende dal tipo di tumore e dalla risposta al trattamento.
Effetti collaterali
Possono essere immediati, ritardati o tardivi:
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Immediati → nausea, vomito, febbre, eruzioni cutanee, diarrea, disturbi del ritmo cardiaco, reazioni allergiche, infiammazione locale in caso di fuoriuscita del farmaco dalla vena;
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ritardati → calo di globuli rossi (anemia), bianchi (neutropenia) e piastrine (piastrinopenia), mucositi orali o gastrointestinali, alopecia, neuropatie periferiche (formicolii a mani e piedi), danno renale/epatico, cistiti;
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tardivi → tossicità cardiaca, fibrosi polmonare, sterilità, seconde neoplasie.
Alcuni effetti frequenti e come gestirli
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Ridotta resistenza alle infezioni
La chemioterapia può abbassare temporaneamente il numero di globuli bianchi, fondamentali per difendere l’organismo dalle infezioni. Questo può aumentare il rischio di infezioni anche gravi, specialmente se si manifesta febbre. Se durante il trattamento si ha una febbre superiore a 38°C, è importante avvisare subito il medico, perché potrebbe essere necessario intervenire rapidamente con terapie specifiche. Per ridurre questo rischio, in alcuni pazienti vengono somministrati farmaci che stimolano la produzione di globuli bianchi, aiutando il sistema immunitario a riprendersi più velocemente; -
anemia → provoca stanchezza intensa (fatigue);
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piastrinopenia → facilita la formazione di lividi o piccoli sanguinamenti;
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alopecia → perdita di capelli, spesso rapida dopo 3-4 settimane dall’inizio della terapia; possibile riduzione del danno con caschetto refrigerante;
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sindrome mano-piede → dolore e arrossamento di palmi e piante;
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alterazioni della fertilità → da discutere prima dell’inizio della terapia.
Nuove possibilità terapeutiche
Sono in corso studi clinici per sviluppare farmaci più selettivi verso le cellule tumorali (bersaglio molecolare) e con minori effetti collaterali. In casi selezionati, il paziente può partecipare a trial clinici con terapie innovative o combinazioni di chemio, terapie mirate e immunoterapia.
Terapie biologiche e immunoterapia
- Le terapie biologiche, dette anche terapie a bersaglio molecolare o target therapy, sono terapie mirate, cioè la loro azione è diretta contro un bersaglio molecolare (recettore, fattore di crescita, enzima). Questi bersagli, presenti principalmente nelle cellule tumorali, sono responsabili della crescita e della diffusione incontrollata delle cellule, della loro resistenza alle terapie tradizionali e della produzione di nuovi vasi sanguigni.
- L’immunoterapia comprende farmaci che non sono diretti contro le cellule tumorali ma che agiscono attivando la risposta del sistema immunitario inibito dal tumore.
- In caso di epatocarcinoma avanzato le terapie mediche comprendono:
– inibitori della Tyrosina-kinasi (TKIs) lenvatinib, sorafenib, cabozantinib, regorafenib
– combinazione di immunoterapia (nivolumab) e farmaci antiangiogenetici (atezolizumab/bevacizumab)
– combinazioni di immunoterapici (durvalumab/tremelimumab)
– nuovi agenti. - In caso di colangiocarcinoma avanzato, si esegue l’analisi del profilo molecolare del tumore per identificare tramite NGS eventuali alterazioni genetiche specifiche (a carico di FGFR2, IDH1, HER2, BRAF, proteine MMR.). A progressione da chemioimmunoterapia di prima linea alcuni pazienti
possono giovarsi di farmaci a bersaglio molecolare (a seconda dell’alterazione molecolare: pemigatinib, ivosidenib, zanidatamab, dabrafenib, trametinib, pembrolizumab) rispetto alla terapia standard, con
un impatto significativo su prognosi e qualità di vita.
Radioterapia
La radioterapia può essere utilizzata per trattare tumori del fegato localizzati quando controindicato il trattamento chirurgico o locoregionale.
Inoltre può essere utilizzata nelle recidive oppure a scopo palliativo.
Recupero dopo l’intervento – Protocollo ERAS
All’Istituto di Candiolo, il recupero dopo la chirurgia è supportato dal protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery – Miglior recupero dopo un intervento chirurgico), studiato per favorire un ritorno rapido all’autonomia, ridurre i tempi di ricovero e diminuire il rischio di complicanze.
Questo approccio coinvolge un team multidisciplinare – chirurgo, anestesista, dietista, infermiere, psicologo, fisioterapista e operatore socio-sanitario – che segue il paziente in ogni fase, dal pre-operatorio al rientro a casa.
Il protocollo si fonda su alcuni punti chiave:
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controllo efficace del dolore
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tecniche chirurgiche mininvasive
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counselling pre-operatorio
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riabilitazione precoce
Tra le misure previste vi sono: evitare il digiuno prima dell’intervento grazie a un adeguato supporto nutrizionale, utilizzare un’anestesia mirata che consenta di alimentarsi rapidamente per via naturale, limitare l’uso di sondini, drenaggi e flebo, e incoraggiare una mobilizzazione precoce.
Il risultato è un percorso di recupero più confortevole, sicuro ed efficace.
Supporto continuativo
Garantiamo un supporto costante che segue il paziente prima, durante e dopo il trattamento, garantendo un percorso di assistenza completo.
Gestione degli effetti collaterali
Le cure per il tumore del fegato comportano spesso effetti collaterali che impattano più o meno pesantemente sulla qualità di vita. Si possono però attenuare e in alcuni casi prevenire con trattamenti specifici e/o con un adeguato stile di vita.
All’Istituto di Candiolo i medici e gli infermieri del team multidisciplinare sono a disposizione del paziente per fornirgli tutto il supporto necessario a gestire i diversi effetti collaterali che dovrà affrontare nel percorso di cura.
Linea diretta con gli specialisti
Il paziente oncologico è spesso un paziente fragile, che nel suo percorso di malattia necessita di aiuto e supporto: quando avverte un disturbo, che sia esso legato alla malattia o a un effetto collaterale della terapia, deve poter ricevere il parere di uno specialista in tempi rapidi, attraverso una “corsia preferenziale”.
Per questo motivo, all’Istituto di Candiolo è attivo tutti i giorni, dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 17.00, un servizio di assistenza: basta telefonare alla segreteria del Day Hospital oncologico (011 993 3775) segnalando la necessità di un consulto urgente e il paziente viene rapidamente contattato dal proprio medico specialista.
Cure continue e cure palliative
Il paziente oncologico è un paziente complesso che necessita di un supporto multidisciplinare per la gestione, non solo della sua patologia, ma anche di tutte le situazioni ad essa associate che riguardano sia sintomi fisici, come il dolore o il calo di peso, sia la sfera psicologica.
All’Istituto di Candiolo, per i pazienti che ne necessitano o che lo richiedono, sono a disposizione specialisti di diverse discipline per offrire:
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- supporto nutrizionale,
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- supporto psicologico,
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- fisioterapia,
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- medicazione di dispositivi per accessi venosi,
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- terapia del dolore,
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- gestione di altre patologie compresenti.
Assistenza sociale
Il Servizio Sociale dell’Istituto di Candiolo effettua colloqui di informazione e orientamento alle pazienti e ai loro familiari su come accedere ai servizi del territorio e su come ottenere le prestazioni assistenziali e previdenziali previste dalla legge (invalidità, agevolazioni per ausili e protesi, congedi lavorativi ecc.).
Il servizio è attivo il mercoledì e il venerdì dalle 9.00 alle 13.00 – Telefono: 011 993 3059.
Follow up: cosa aspettarsi dopo la conclusione delle cure
Dopo l’intervento o il termine dei trattamenti, viene programmato un percorso di controlli regolari, chiamato follow-up, che dura circa 5 anni. Questi controlli includono visite mediche e alcuni esami strumentali o radiologici, utili per:
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individuare eventuali recidive della malattia, sia locali sia a distanza;
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monitorare e gestire gli effetti collaterali delle terapie effettuate;
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valutare la salute generale dopo trattamenti come chemioterapia o radioterapia, che in rari casi possono causare effetti anche a distanza di anni.
All’inizio i controlli sono più frequenti e, nel tempo, si allungano gli intervalli tra una visita e l’altra. La frequenza e il tipo di esami saranno personalizzati in base allo stadio della malattia e al trattamento svolto, e saranno comunicati dall’oncologo al termine della terapia.
È importante sapere che il follow-up si concentra soprattutto sulla diagnosi precoce di recidive locali, mentre non è dimostrato che anticipare la scoperta di metastasi a distanza, prima che diano sintomi, migliori l’andamento della malattia. Per questo motivo non è consigliato eseguire esami aggiuntivi o più frequenti rispetto a quelli indicati dall’oncologo.
Gruppo Interdisciplinare
Ogni tumore richiede, in tutte le fasi di gestione della malattia, un approccio multidisciplinare che all’Istituto di Candiolo è garantito da un team di diversi specialisti, appartenenti ai vari dipartimenti clinici e chirurgici dell’Istituto: questo team si chiama GIC (Gruppo Interdisciplinare di Cure). Il GIC assicura la presa in carico di ogni paziente per tutto l’iter diagnostico-terapeutico, comprese la prescrizione e la prenotazione degli esami e la comunicazione con il malato e con i suoi familiari. Il GIC definisce e condivide un percorso di cura personalizzato per ogni paziente, basato non solo sulla tipologia e lo stadio del tumore, ma anche sulle caratteristiche del paziente stesso. L’obiettivo è quello di garantirgli il risultato migliore dal punto di vista sia oncologico sia funzionale e il mantenimento di una buona qualità di vita.Il Gruppo lavora inoltre in stretta collaborazione con i ricercatori dell’Istituto per garantire ai pazienti un rapido accesso alle novità prodotte dalla ricerca nello screening, nella diagnosi e nelle terapie.
Divisioni cliniche
Il percorso diagnostico-terapeutico del tumore del fegato a Candiolo coinvolge diverse divisioni cliniche, tra cui:
- Chirurgia oncologica
- Gastroenterologia ed endoscopia digestiva
- Oncologia medica
- Anatomia patologica
- Radiodiagnostica
- Medicina nucleare
- Radioterapia
Studi clinici
I ricercatori dell’Istituto di Candiolo IRCCS sono attualmente impegnati in diversi progetti, nazionali e internazionali, sui tumori del fegato, vie biliari e colecisti.
I principali riguardano la definizione di nuove terapie a bersaglio molecolare per combattere alcune forme di tumore del fegato divenute resistenti ai trattamenti standard. Vi sono inoltre due studi randomizzati di fase 3 in colangiocarcinoma avanzato
che valutano rispettivamente l’utilizzo della chemioterapia standard in associazione ad anticorpo bispecifico anti HER2 in prima linea e terapie a bersaglio molecolare antiFGFR2 a progressione dopo precedente terapia target in sottopopolazioni di pazienti con queste specifiche caratteristiche molecolari.
Perché sceglierci
All’Istituto di Candiolo IRCCS, ogni paziente affetto da tumore del fegato è seguito in modo altamente specializzato, grazie al lavoro sinergico di un Gruppo Interdisciplinare di Cura (GIC) dedicato.
Esperienza clinica e approccio su misura
Grazie all’elevato numero di casi di tumore epatico trattati ogni anno, l’Istituto di Candiolo è un punto di riferimento nazionale per la presa in carico di questa patologia. L’esperienza maturata consente di affrontare anche i casi più complessi, con un approccio personalizzato, costruito sulle caratteristiche cliniche e personali di ciascun paziente.
Tecnologie di imaging e diagnostica avanzata
La definizione del piano terapeutico parte sempre da una diagnosi precisa e tempestiva. I pazienti hanno accesso a tecnologie di imaging di ultima generazione, come ecografia, TC con mezzo di contrasto, risonanza magnetica e colangio-RM, fondamentali per valutare con precisione l’estensione del tumore.
Sono inoltre disponibili analisi di laboratorio avanzate, comprese analisi molecolari, che aiutano a definire le caratteristiche biologiche della malattia e a orientare le scelte terapeutiche.
Tecniche chirurgiche mininvasive e multidisciplinarietà
Quando le condizioni lo permettono, gli interventi chirurgici sul fegato vengono eseguiti con tecniche mininvasive, laparoscopiche o robotiche. Questi approcci prevedono l’utilizzo di strumenti dotati di telecamera, introdotti nell’addome attraverso piccole incisioni, riducendo così il trauma chirurgico. I vantaggi per il paziente includono tempi di degenza più brevi, un recupero più rapido e un minor rischio di complicanze rispetto alla chirurgia tradizionale a cielo aperto.
L’Istituto di Candiolo è dotato di tecnologie di ultima generazione, come colonne laparoscopiche in 4K e sistemi di fluorescenza intraoperatoria, che offrono al chirurgo una visione estremamente nitida e dettagliata, facilitando anche le procedure più complesse.
Un ulteriore supporto arriva dall’utilizzo del verde di indocianina (ICG), un colorante che, in combinazione con la modalità Firefly presente nei sistemi robotici e laparoscopici, consente di:
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evidenziare le lesioni di epatocarcinoma, quando l’ICG viene iniettato per via endovenosa circa 24 ore prima dell’intervento, accumulandosi nel tumore e rendendolo visibile;
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identificare con precisione i segmenti epatici durante una resezione: clampando i vasi che irrorano un determinato segmento o settore e iniettando l’ICG durante l’intervento, si ottiene una “mappa” visiva che guida il chirurgo con estrema accuratezza.
Ricerca clinica e accesso ai trial
Come IRCCS, l’Istituto di Candiolo unisce alla pratica clinica una forte attenzione alla ricerca scientifica. I pazienti con tumore del fegato possono essere valutati per l’inserimento in studi clinici attivi, che rappresentano un’opportunità concreta di accedere a terapie innovative non ancora disponibili nella pratica standard. Questa sinergia tra cura e ricerca è un valore distintivo che offre nuove speranze e possibilità.
Cura e supporto in ogni fase del percorso
Il Gruppo Interdisciplinare di Cura segue la persona in tutte le fasi: dalla diagnosi, attraverso le terapie, fino al follow-up. Particolare attenzione è dedicata al supporto nutrizionale, alla salute psicologica e al reinserimento nella vita quotidiana. L’organizzazione dei controlli, delle visite e delle terapie è pensata per garantire continuità, serenità e un approccio umano e attento alle esigenze di ciascun paziente.